A differenza di altri paesi europei, la Svizzera non prevede salari minimi per tutte le lavoratrici e i lavoratori. Eppure, il tema del salario minimo non è nuovo: negli anni Novanta, i sindacati si resero conto che in molti settori della società, le paghe erano davvero da fame e le sole trattative settoriali non bastavano più per difendere i salari. Dopo qualche anno ebbe inizio, per usare le parole di Andreas Rieger, ex Presidente di Unia, una vera e propria «politicizzazione del tema salariale». Alla fine degli anni Novanta, cominciarono così campagne per salari minimi decenti (allora si parlava di 3000 Chf) con l’intento di fare pressioni sulla politica e sulla società. Anche il movimento femminista, con lo sciopero del 1991, che portò a inscrivere nella Costituzione la parità retributiva tra uomo e donna, rafforzò l’idea che il salario era soprattutto «una questione politica».
L’iniziativa nazionale
Nel 2014, l’idea di introdurre un salario minimo unico a livello nazionale è stata bocciata in maniera netta dal popolo svizzero: 3 persone su 4 hanno detto no a una retribuzione minima di 4000 Chf al mese. Nonostante alcuni effetti positivi dell’iniziativa, come ad esempio l’innalzamento a 4000 Chf delle retribuzioni di base presso la catena di supermercati Lidl, sbandierato ancor prima del voto a fini di marketing, il tema del salario minimo sembrava allora destinato a essere dimenticato. Così non è successo.
Iniziative locali
Già prima del 2014, a Neuchâtel, un’iniziativa cantonale era riuscita a convincere gli elettori a fissare un minimo retributivo di 20 Chf. Dopo questa iniziativa e quella nazionale, altri cantoni hanno votato a favore del salario minimo (Ticino e Giura), mentre Ginevra e Basilea si apprestano a farlo per fissare una retribuzione minima di ben 23 Chf, che supera quindi il livello fissato dall’iniziativa del 2014. Anche in altri cantoni il dibattito è aperto e non sono da escludere nuove iniziative a breve termine. Insomma: l’idea di un salario minimo sta diventando contagiosa.
Dati confortanti
A Neuchâtel, i dati sull’occupazione pubblicati dalla Seco qualche giorno fa, potrebbero ulteriormente incoraggiare i sostenitori del salario minimo. Le statistiche infatti dicono che la percentuale di disoccupati, a partire dall’agosto del 2017, ovvero dall’entrata in vigore del salario minimo, è scesa dal 5,3% al 4,1%. Un dato che è rafforzato dall’aumento della percentuale dei disoccupati, nello stesso periodo, nel vicino Cantone di Friburgo, privo di salario minimo, che è salita dal 2,8% al 3,1%. Neuchâtel ottiene in generale migliori risultati da questo punto di vista rispetto a tutti i cantoni vicini (Berna, Friborgo, Soletta e Giura). Il risultato di Neuchâtel non sembra frutto del caso. La Germania, ad esempio, paese che ha introdotto il salario minimo su scala nazionale nel 2015, oggi ha il più basso tasso di disoccupazione dal 1989.