Senza diritti non c’è ecologia

Maja Jåma e Jonas Paulsen protestano davanti alla sede di Bkw. © Maja Gobeli, GfbV

Un parco eolico di proprietà svizzera in Norvegia minaccia le popolazioni indigene locali. La Société pour les peuples menacés (Spm), Ngo elvetica che si occupa di popolazioni indigene, ha denunciato pubblicamente alcune violazioni dei diritti nei confronti della popolazione indigena sami. Sul banco degli imputati, c’è un progetto che coinvolge la multinazionale Bkw Energie AG, con sede a Berna, e Credit suisse.

La Ngo Spm chiede ora di aprire un tavolo di mediazione. Hofstetter (Unia): «I criteri ecologici non possono essere separati da quelli sociali».
Si stima che in Norvegia abitino tra i 40.000 e i 70.000 sami, più comunemente conosciuti come lapponi, l'unica popolazione indigena d’Europa. I sami del sud, circa 600-1000 persone, hanno una loro lingua, in grave pericolo, e tradizionalmente si occupano dell’allevamento delle renne. Grazie a questa attività, gli indigeni riescono a preservare stile di vita, lingua e cultura.  

Il progetto

Nella penisola di Fosen, sul monte Storheia, nei pressi di Trondheim, è in costruzione un campo eolico mastodontico: 6 centrali elettriche, 80 turbine, 60 Km di strade e una linea ad alta tensione andranno a incidere profondamente su un territorio in cui i sami del sud praticano la pastorizia. Bkw e Credit suisse partecipano all’operazione in qualità di membri del consorzio di investitori europei Nordic Wind Power Da, che detiene il 40% del capitale. Il progetto è pubblicizzato da anni dalla Bkw stessa come un investimento che va nella direzione di una riconversione ecologica dell’economia. Una volta terminato il progetto, le superfici di pascolo invernali a disposizione dei sami risulterebbero drammaticamente ridotte del 44% con gravi conseguenze sulle loro possibilità di sostentamento. Molti allevatori sarebbero per questo costretti a lasciare la loro professione.

La denuncia

La Spm ha ieri denunciato pubblicamente la situazione e presentato una richiesta di mediazione presso il Punto di contatto nazionale (Pcn), che promuove il rispetto delle linee guida per imprese multinazionali dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). La Ngo segue da tempo la questione (cfr. intervista in questa stessa pagina) e ha deciso di passare all’azione per difendere i diritti di una popolazione che ha fortemente sofferto a causa del colonialismo norvegese e delle politiche di assimilazione forzata. Secondo diverse convenzioni internazionali, i popoli indigeni detengono diritti sulla terra che il progetto violerebbe apertamente. Inoltre, sempre in contraddizione con il diritto, essi non sono stati consultati in maniera adeguata durante le fasi progettuali e di costruzione del parco eolico. Nel momento in cui scriviamo, non è stato possibile ottenere la replica della Bkw o di Credit suisse, ma siamo sicuri che non tarderanno a fornire le loro ragioni in altri contesti.

 

Multinazionali responsabili  

Per Pepo Hofstetter, responsabile Unia per l’iniziativa multinazionali responsabili, che vuole vincolare le multinazionali aventi sede in Svizzera a rispettare i diritti umani e gli standard ambientali internazionali nelle loro relazioni d’affari, «il caso del parco eolico mostra che non è possibile scollegare la questione ambientale da quella dei diritti umani e sociali». Le campagne in cui è impegnata la Spm sono molte e di diverso tipo: nella stessa Norvegia, la Ngo supporta i sami nella loro campagna contro una miniera di rame del gruppo Nussir, le cui azioni sono detenute anche da Credit suisse, colpevole di scaricare gli scarti di lavorazione in un fiordo della contea di Troms og Finnmark, nell’estremo nord del paese, dove vivono numerosi sami. Sempre Credit suisse, questa volta insieme a Ubs, è stata coinvolta in un altro caso che riguarda i diritti delle popolazioni indigene, ovvero il passaggio della Dakota Access Pipeline su alcune riserve indigene degli Stati Uniti. Sempre per Hofstetter, «l’attività della Spm dimostra che è necessario costringere le aziende multinazionali a rispettare ambiente e persone. La soluzione è quella di dare forza alla campagna a sostegno dell’iniziativa che sarà votata con tutta probabilità nell’autunno del 2020».