Serve una svolta ecosociale
In che modo Unia si è impegnata sul fronte ambientale e climatico in questi ultimi anni?
Sono 10 anni che Unia rivendica una trasformazione ecosociale della società. Nel 2009 abbiamo rivendicato l'istituzione di un fondo di produzione per avviare la riconversione e creare entro 10 anni 200’000 posti di lavoro ecologicamente sostenibili. Avevamo chiesto alla politica di creare le condizioni quadro affinché, ad esempio, i miliardi dei fondi di cassa pensione venissero investiti in questa necessaria riconversione. Ulteriori proposte per la riconversione ecologica e sociale dell'economia e della società sono state formulate da Unia nel 2012 e nel 2016. L'urgenza della questione ecologica è per noi quindi evidente. Ma proprio per questo motivo, dobbiamo ammettere con autocritica, che tutto quello che abbiamo fatto è ancora troppo poco.
L’Uss appoggia con convinzione il movimento per il clima senza interferire nelle sue dinamiche. Non è giunto però il momento di formulare proposte forti e di avere un ruolo più attivo nel dibattito?
Le due cose sono giuste. Sono convinta che, in particolare, i paesi ricchi del Nord abbiano i mezzi e le possibilità per affrontare le sfide ecologiche, ovvero l’aumento della temperatura e la distruzione della biodiversità. Manca solo la volontà politica! Il successo della mobilitazione del movimento giovanile contro l'emergenza climatica, le cui richieste sostengo pienamente e con tutto il cuore, mi riempiono di grande speranza: solo un movimento di massa sociale internazionale può sviluppare la necessaria forza di cambiamento. Non è compito dei sindacati pilotare questo movimento, ma dobbiamo svolgere un ruolo attivo nel rafforzarlo.
Lo sciopero generale potrebbe diventare uno strumento di lotta per il clima?
Una cosa è chiara: se le conseguenze dell'emergenza climatica colpiranno le nostre condizioni di vita in maniera tale da diventare il fattore scatenante di una rivolta di massa come uno sciopero generale, allora sarà troppo tardi. Dobbiamo prevenire questa catastrofe subito. Credo che gli scioperi politici possano aumentare la consapevolezza e migliorare le condizioni per il cambiamento, come ha dimostrato la mobilitazione delle donne del 14 giugno. Noi sindacati dobbiamo lavorare per garantire che questo strumento possa essere utilizzato efficacemente.
In altri paesi europei, come in Germania, il rapporto tra movimenti per il clima e sindacati non è privo di problemi. Ci sono pericoli in questo senso anche in Svizzera?
Non penso. Concordiamo nei punti essenziali. Innanzitutto: c'è un'emergenza climatica e dobbiamo agire ora. Secondo: entro dieci anni dobbiamo portare a zero le emissioni di anidride carbonica in Svizzera. Terzo: rivendichiamo giustizia climatica. Infatti, la riconversione dell'economia e della società non deve andare a scapito dei lavoratori e delle lavoratrici, delle persone socialmente svantaggiate o della popolazione dei paesi del Sud.
Per Dore Heim (Uss) il dibattito sul clima in Svizzera è condotto soprattutto a livello di morale, mentre sono pochi a domandarsi chi sosterrà i costi di una transizione verso un modello sostenibile. È d’accordo?
La necessaria riconversione ecosociale dell'economia e della società deve superare l'attuale modello di crescita capitalista. Ad esempio, organizzando il lavoro retribuito e non retribuito ecologicamente sostenibile e distribuendolo in modo più equo. Studi dimostrano che introdurre la settimana lavorativa di 4 giorni comporterebbe una riduzione del 36,6% delle emissioni. Questa trasformazione non deve essere basata su una logica generale di rinuncia: dobbiamo trasformarla in opportunità. Bernie Sanders, candidato presidenziale Usa, ha presentato un piano di investimenti ecologici straordinario che porterebbe alla creazione di venti milioni di posti di lavoro.
Riesce a immaginare future negoziazioni contrattuali di settore in cui emergano temi o rivendicazioni di natura ambientale?
Le rivendicazioni ecologiche sono già da lungo tempo un elemento importante della nostra politica contrattuale. Nelle trattative rivendichiamo, per esempio, che i rimborsi spese per gli spostamenti dei lavoratori aumentino, in maniera tale che le imprese siano più propense a prendere in considerazione ditte locali. Nel contesto della tematica climatica, tuttavia, l'attenzione è spesso rivolta alle industrie in cui non abbiamo per ora molti associati: produttori di energia, finanza, agricoltura, macelli e aziende di trasformazione della carne, ecc. In questi settori, il problema della sostenibilità è particolarmente evidente: nei luoghi in cui prevalgono condizioni di lavoro più antisociali, viene calpestata anche l'ecologia.
Per la Confederazione europea dei sindacati (Ces) non c’è “transizione giusta” senza investimenti, piani formativi all’avanguardia e partecipazione dei lavoratori ai processi di riconversione. In Svizzera non siamo ancora lontani da questa situazione?
C’è ancora molto da fare. Nel contesto della riconversione ecologica dell'economia, la dimensione sociale finora ha svolto un ruolo troppo piccolo. Con i Ccl diamo un contributo alla sostenibilità sociale. Dobbiamo lavorare ancora di più per coinvolgere i dipendenti stessi nello sviluppo delle esigenze ecologiche dei settori. Solo così possiamo sviluppare la forza necessaria. Si tratta anche di investire sulla formazione dei lavoratori per le nuove tipologie di posti di lavori che devono nascere.
Per concludere: ambiente e lavoro possono davvero andare d’accordo?
Lo ripeto: dobbiamo superare il modello di crescita capitalista esistente. Dobbiamo organizzare questa riconversione in modo che non vada a scapito dei lavoratori e delle lavoratrici interessati. Non sto dicendo che sia sempre facile. Ma dico che è possibile. E soprattutto, non esiste alternativa: There are no jobs on a dead planet!