Gli imprenditori disdicono il CCL dei rami affini romandi
Iniziate in estate, le trattative per il rinnovo del CCL dei rami affini dell’edilizia romandi sembravano procedere in modo tutto sommato positivo. Il CCL regionale, che unisce professioni del legno e pittori/gessatori, esiste dal 2000 e ha dato buona prova di sé. « Un buon CCL », lo definisce Aldo Ferrari, vicepresidente di Unia e responsabile nazionale dell’artigianato. Poi però, a metà settembre, la discussione si è arenata sulla questione delle rivendicazioni salariali dei sindacati. Il padronato si è rifiutato di entrare in materia sulle richieste di aumenti salariali, di un contributo per i premi della cassa malati e di aggiustamenti dei rimborsi spese. A quel punto la situazione è precipitata.
Imposizione inaccettabile
I sindacati hanno a loro volta respinto la richiesta degli imprenditori di prolungare di un anno l’obbligatorietà generale del CCL attuale. « Non abbiamo accettato il prolungamento perché ci siamo trovati di fronte a un’imposizione dei datori di lavoro », precisa Ferrari. « Non possiamo accettare di trattare se non c’è entrata in materia su un miglioramento delle condizioni materiali dei lavoratori. È anche una questione di dignità delle parti contraenti. » Sullo sfondo c’è l’andamento delle trattative salariali negli ultimi anni : « Tra il 2012 e il 2015 non ci sono stati aumenti. Per il 2016 abbiamo ottenuto qualcosa, ma se si guarda agli ultimi cinque anni è poca cosa », ricorda Ferrari. « Per questo riteniamo più che legittimo discutere di aumenti e contributi. Tanto più che nell’artigianato il lavoro non manca. »
I padroni disdicono il CCL
Alla fermezza sindacale i datori di lavoro hanno risposto con la disdetta del CCL dal 1° gennaio 2017. In concreto ciò significa che dall’inizio del prossimo anno tutte le prestazioni che vanno al di là di quanto previsto dal Codice delle obbligazioni non saranno più applicate per i 25 000 lavoratori e lavoratrici nelle professioni del legno e della pittura/gessatura della Svizzera romanda. « Un atto irresponsabile che avrà pesanti conseguenze e attizzerà il dumping salariale », hanno rilevato in un comunicato stampa congiunto i sindacati Unia e Syna.
Gravi conseguenze
La prospettiva di un vuoto contrattuale è in effetti preoccupante, e non dovrebbe esserlo solo per i sindacati. In gioco ci sono le garanzie sui salari minimi e sulle condizioni di lavoro e quindi il rischio concreto di una corsa al dumping che metterà rapidamente sotto pressione tutte le aziende del ramo. A farne le spese saranno soprattutto le lavoratrici e i lavoratori, ma anche i datori di lavoro. « Con la disdetta del CCL perdiamo gli strumenti di controllo che permettono di contrastare il dumping. Da una parte saltano gli argini costituiti dai salari minimi, d’altra parte con l’annullamento dei contributi professionali vengono a mancare anche i mezzi per il controllo dei cantieri e i fondi per la formazione professionale. Questo in particolare dovrebbe far riflettere i datori di lavoro », osserva Aldo Ferrari.
Reazione sindacale
I sindacati in ogni caso non intendono cedere al fatalismo. Unia e Syna hanno rinnovato l’appello agli imprenditori a tornare al tavolo delle trattative. « I rami affini sono sottoposti alle pressioni di molte aziende con pochi scrupoli. La disdetta del CCL è un pessimo segnale », scrivono nel loro comunicato. La condizione è però che i datori di lavoro siano disposti a discutere di un miglioramento delle condizioni materiali dei dipendenti. Per dar forza alle loro rivendicazioni, Unia e Syna hanno indetto una giornata di protesta nelle regioni e nei cantieri della Svizzera romanda il 18 novembre. « Speriamo che la situazione si sblocchi. È l’occasione per ricordarsi dell’importanza di un CCL. Con la disdetta ci perdiamo tutti », conclude Aldo Ferrari.