Al voto contro povertà ed emarginazione
È possibile lavorare duramente ed essere poveri allo stesso tempo? La risposta è purtroppo affermativa, persino in una città ricca come Zurigo, dove i salari non riescono sempre a stare al passo con il costo della vita stellare.
Per questo motivo, l’Unione sindacale svizzera, insieme a Unia, ad altre sigle sindacali, ai partiti di sinistra e a organizzazioni che lavorano a stretto contatto con il disagio economico e sociale, hanno lanciato con successo un’iniziativa che chiede l’introduzione di un salario minimo di 23 Chf a Zurigo, Kloten e Winterthur.
Ampio consenso
Nel 2014, l’iniziativa federale dei sindacati per un salario minimo di 4000 Chf è stata respinta dal popolo, eppure ha aperto la strada a una tendenza positiva: la cifra fissata è diventata un punto di riferimento per molti rami e aziende. Inoltre, in diversi cantoni, sono state proposte, negli anni successivi, iniziative popolari vincenti sul salario minimo. A Ginevra le ultime elezioni hanno stabilito un record: il salario minimo introdotto è di 23 Chf lordi.
Lo stesso livello potrebbe essere raggiunto dalle città di Zurigo, Winterthur e Kloten. L’iniziativa presentata non sarà infatti sottoposta al voto a livello cantonale, ma nelle singole città. A spiegarci il perché è Isabelle Lüthi, responsabile comunicazione della regione Unia di Zurigo: «Abbiamo scelto le tre realtà dove c’è un’alta concentrazione di persone che lavorano in settori a basso salario, città in cui la forbice salariale è drammatica e scandalosa. Questi tre contesti, inoltre, hanno una forte tendenza progressista e solidale che fa ben sperare per l’esito del voto».
Le speranze sono oltretutto alimentate, continua Lüthi, «dalla velocità con cui siamo riusciti a raccogliere le firme nonostante l’emergenza sanitaria».
Il ramo delle pulizie
La regione Unia di Zurigo-Sciaffusa è impegnata attualmente nel processo di sindacalizzazione del ramo delle pulizie. Pinuccia Rustico, segretaria sindacale Unia, lavora in questo ambito: «La vittoria di questa iniziativa significherebbe migliorare nettamente le condizioni di vita delle addette e degli addetti alle pulizie di questa città. Il salario minimo in questo settore è infatti di poco superiore a 19 Chf, una cifra non sufficiente per vivere dignitosamente a Zurigo. Negli ultimi anni abbiamo ottenuto miglioramenti salariali e delle condizioni di lavoro, ma c’è ancora tanto lavoro da fare perché siamo partiti praticamente da zero».
Una delle testimoni della campagna, Fátima, addetta alle pulizie, ha inviato al governo della città di Zurigo, insieme a Beatriz, impiegata nella ristorazione, un altro ramo a bassi salari, una lettera aperta in cui spiega con chiarezza cosa vuol dire essere working poor nella ricca Zurigo e chiede agli amministratori di appoggiare con convinzione l’iniziativa.
Una storia di migrazione
Noi abbiamo incontrato un’altra lavoratrice direttamente interessata dall’iniziativa. Nicoletta Panebianco, addetta alle pulizie e militante di Unia, ha carattere da vendere e tanto coraggio. Nicoletta, nata a Friburgo da genitori italiani e poi trasferitasi ancora bambina in Italia, è arrivata dalla Sicilia in Svizzera quattro anni fa con il marito, lavoratore edile, e tre figli per sfuggire da situazioni lavorative a dir poco difficili e precarie e da una condizione economica tutt’altro che agiata.
La sua storia contraddice uno stereotipo legato alla nuova migrazione italiana: a lasciare la Penisola non sono solo i cosiddetti «cervelli in fuga», ma anche famiglie e persone colpite dalla crisi economica. Nicoletta ci racconta la sua esperienza: «Avevo già contatti in Svizzera e ho insistito tanto con mio marito perché partissimo. Siamo arrivati in Svizzera senza figli e dopo qualche mese, una volta trovati impieghi più stabili e un permesso di soggiorno meno precario, abbiamo deciso di trasferirci tutti insieme definitivamente».
La grinta non basta
Nicoletta è contenta di quello che ha fatto e non si è mai pentita della sua scelta. Il marito, ruspista esperto, non è più costretto a saltare da un impiego all’altro e i figli hanno ormai superato le prime difficoltà di adattamento al nuovo contesto. Nonostante questo, però, la lavoratrice, che in Italia era una commessa molto intraprendente e apprezzata, non avrebbe mai pensato di trovarsi a lavorare anche in Svizzera in condizioni tali da non permetterle una vita tranquilla. Problemi che si sono acuiti con la crisi pandemica, che le ha fatto perdere temporaneamente lavoro e reddito.
Rispetto ad altre colleghe, Nicoletta può contare sull’appoggio del marito, ma comunque con tre figli non è facile, e poi lei non vuole dipendere da nessuno: «Il nostro lavoro è duro e meritiamo di più. L’anno scorso ho partecipato allo sciopero delle donne perché trovo ingiusta la discriminazione salariale e il poco rispetto nei confronti di quelle professioni in cui lavorano soprattutto donne».