Il calvario della parità salariale
È un vero calvario l’esperienza che sta vivendo una sarta romanda: due anni fa è ricorsa per far riconoscere la disparità salariale tra lavoratrici e lavoratori nel laboratorio in cui operava, ma la sua procedura potrebbe durare sino a sette anni. La prossima udienza davanti a un giudice è prevista per il 2 febbraio a Losanna. Unia, che sostiene la lavoratrice, chiede alla corte di non tergiversare oltre e di ordinare una perizia giuridica indipendente per far chiarezza sui fatti.
Il caso è emblematico. La signora P. ha lavorato per sei anni, sino al 2012, presso la sartoria di un grande magazzino di abiti di lusso romando: si occupava di eseguire i ritocchi agli abiti acquistati. Lavorava insieme ad altre tre donne: tutte erano pagate un terzo meno dei loro due colleghi. Per un lavoro a tempo pieno la differenza era di ben 1200 franchi lordi al mese.
Non solo orli
Una disparità che per P. era del tutto ingiustificata. I suoi colleghi si occupavano infatti solo di abiti maschili, ai quali in genere dovevano fare l’orlo dei pantaloni. Le donne invece dovevano fare ben altro: riadattare abiti femminili realizzati spesso con stoffe molto pregiate o delicate come seta, velluto, tessuti laminati o arricchiti con perline o altro. Ciò richiedeva formazione ed esperienza. «Nel caso specifico – rileva Christine Michel, che si occupa della vicenda a Unia – il salario inferiore delle sarte non sembra basarsi su una obiettiva differenza nell’esecuzione dei compiti, ma piuttosto su una svalorizzazione di un mestiere tipicamente femminile come quello della sarta. Se a svolgerlo è un uomo allora diventa subito un mestiere artistico prestigioso e valorizzante», ha affermato la sindacalista ieri durante una conferenza stampa tenutasi a Berna.
Solo 34 donne
Davanti a questa situazione P. aveva rivendicato la parità in busta paga. Come risposta aveva ricevuto una lettera di licenziamento giustificata da “motivi economici”. «Adesso ho alle spalle due lunghi anni di procedure», ha affermato ieri la romanda, consapevole che potrebbe dover aspettare ancora cinque anni prima di ottenere una decisione definitiva. Non è quindi un caso se da quando è entrata in vigore la legge sulla parità nella Svizzera romanda solo 34 donne hanno «osato o piuttosto sopportato di portare a termine la lotta per il rispetto dei loro diritti», ha aggiunto la sarta durante l’incontro con la stampa. E così in base ai calcoli della Confederazione, ogni anno la perdita delle lavoratrici è di 7,7 miliardi di franchi.
Ci vuole la pelle dura
Poche donne ricorrono perché sanno che vi è il rischio anche di perdere il posto di lavoro. Ma non solo, come spiega P. che nel frattempo ha ritrovato una nuova occupazione. Durante le udienze la sarta ha dovuto sopportare affermazioni umilianti e persino quasi insultanti sui motivi del suo licenziamento. Il tribunale non è intervenuto in sua difesa, limitandosi a dire che «ciò fa parte del gioco della procedura», ha aggiunto. Come si vede – ha precisato Michel – una denuncia per ottenere la parità richiede tanto coraggio e perseveranza. Bisogna avere la pelle dura. Il sindacato insiste sul fatto che in questi casi una perizia giuridica indipendente può giocare un ruolo centrale per provare che non c’è differenza tra i compiti eseguiti dalle lavoratrici e dai lavoratori.
Ci vuole una perizia
È quanto ha chiesto la romanda, ma finora senza successo. Invece il suo ex datore di lavoro ha proposto di interrompere il procedimento sino a quando non sarà ultimata la richiesta che ha inoltrato di ottenere il marchio “Equal salary”. «È chiaro come il sole che si tratta di una manovra dilatoria. Non si può confondere una perizia con un marchio che attesta solo l’attuale situazione nell’impresa», ha aggiunto Michel. Il sindacato ritiene che si sia già perso troppo tempo. Per questo chiede adesso alla corte che si riunisce il 2 febbraio prossimo di ordinare la tanto auspicata perizia. Solo così i fatti saranno chiariti e P. potrà sperare che giustizia sia fatta.