Occorre un tavolo di coordinamento

Cerchiamo per subito operai, offriamo ... (1974), documentario svizzero sui frontalieri

Durante le prime fasi della pandemia è diventato per tutti chiaro: lavoratrici e lavoratori frontalieri sono fondamentali per il funzionamento delle regioni di confine. Nonostante questo, le destre tornano all’attacco sul tema e, invece di guardare ai problemi oggettivi del mercato del lavoro ticinese, offrono ricette populiste e discriminatorie.

In un dibattito andato in onda recentemente su Teleticino, la destra ticinese è tornata di nuovo all’attacco sul tema dei lavoratori frontalieri. Giangiorgio Gargantini, Segretario regionale Unia, era presente e ha difeso a spada tratta l’unità dei lavoratori e delle lavoratrici, unico mezzo per non cedere terreno rispetto a quella parte di padronato che ci vorrebbe tutti più sfruttati, e, allo stesso tempo, ha denunciato un peggioramento ulteriore della situazione sociale in Ticino a causa della pandemia.

Sono stati infatti migliaia i posti di lavoro persi in questi mesi (4200), ovvero un quarto dei posti andati persi in Svizzera (17 000). Una situazione che la politica dovrebbe affrontare con misure sociali coraggiose, con investimenti pubblici lungimiranti e con il rafforzamento delle protezioni nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici.

La strategia deve essere sempre quella: difendere i salari e non le frontiere. Invece siamo tornati di nuovo alla strategia del capro espiatorio per nascondere i mali del mercato del lavoro ticinese e le malefatte di una parte del padronato.

Spiragli di luce

La pandemia sembrava aver creato le condizioni per una considerazione diversa del lavoro frontaliere, per un clima nuovo e più disteso. Tra gli eroi e le eroine dell’emergenza sanitaria c’erano proprio i lavoratori residenti nelle zone di confine italiane. E non sono mancati nemmeno episodi di grande solidarietà sul territorio: ci piace ricordare, ad esempio, le persone che, in Ticino, hanno messo a disposizione un letto per il personale sanitario residente oltrefrontiera.

Durante i primi mesi della pandemia questi lavoratori sono diventati volti, storie e non semplicemente numeri o, peggio, un male necessario e mal sopportato, una variabile economico-politica scomoda. Sono diventati «territorio», parte integrante di un ecosistema economico, in cui non mancano sofferenze, ma che produce anche ricchezza. Una ricchezza, che, purtroppo, si concentra nelle mani di pochi. Questo ultimo aspetto però alla destra, a cui mancano argomenti forti, non interessa.

L’accordo fiscale

Anche l’accordo fiscale tra Svizzera e Italia in materia d’imposizione fiscale dei lavoratori frontalieri, le cui trattative si sono concluse a fine 2020, è stato sicuramente un buon segno di rinnovata collaborazione tra Italia e Svizzera.

Giuseppe Augurusa, responsabile frontalieri della Cgil, ne è convinto: «Sono sicuro che il raggiunto accordo, che dovrà essere ratificato dai Parlamenti, faciliterà i rapporti tra Italia e Svizzera, ma temo che non servirà a distendere i territori perché il populismo è sempre in agguato, pronto a sfruttare le difficoltà per fini elettorali, invece di cercare soluzioni comuni e condivise».

Proprio l’accordo fiscale ha offerto l’occasione per organizzare un dibattito online, che ha visto la partecipazione di Augurusa, Gargantini, Mario Bertana, Presidente dell’Assemblea dei delegati Unia, e di lavoratrici e lavoratori frontalieri, su diversi temi che riguardano il frontalierato (vedere su facebook.com/labsinistra per dettagli).

Per Augurusa occorre non dimenticare le prime fasi della pandemia quando è diventato palese che esiste un’interdipendenza fortissima tra Ticino e regioni di confine italiane. Sulle forme di collaborazione ha le idee chiare: «La cooperazione tra Berna e Roma in questi mesi non ha funzionato alla perfezione, occorre invece coinvolgere di più gli enti locali. Su questo punto abbiamo intenzione di proporre un tavolo di coordinamento interistituzionale in cui coinvolgere enti locali, la politica e, naturalmente, i sindacati».   


Un’altra narrazione

L’economista Angelo Rossi, che recentemente ha pubblicato un nuovo libro intitolato «Metamorfosi. Tre saggi sulle trasformazioni che hanno accompagnato lo sviluppo socio-economico secolare del Ticino», sostenuto dalla Fondazione Pellegrini Canevascini, ha dedicato molti dei suoi sforzi scientifici al contesto economico ticinese. A partire dal suo famoso saggio intitolato Economia a rimorchio (1975), Rossi ha cercato di analizzare le debolezze del sistema economico ticinese.

Per Rossi, il Ticino ha sofferto un ritardo nello sviluppo rispetto al resto della Svizzera. Nel momento in cui l’economia è esplosa, grazie a un apporto di capitali provenienti soprattutto dalla Svizzera interna e dall’Italia, si è deciso però di puntare su una strategia economica non lungimirante, fondata soprattutto sulla speculazione edilizia, sull’entrata di capitali provenienti dall’estero e su un’industria non particolarmente innovativa.

Oggi l’economia è sicuramente più diversificata, ma il ritardo del Ticino rispetto ad altre parti del paese è tornato forte a causa anche della crisi dell’edilizia e della finanza ticinesi. Per Andreas Rieger, ex copresidente di Unia e attento lettore di Rossi, occorre investire massicciamente sulla riconversione ecologica, rafforzare ulteriormente la formazione e le tutele contrattuali dei lavoratori, promuovere l’attività professionale delle donne e investire nel settore pubblico