Lotta collettiva, assistenza individuale
Zurigo, 3 marzo 2020. Mi trovo al Punto de encuentro, un luogo storico della migrazione spagnola. Di fronte a me ho 6 lavoratrici del terziario riunitesi per discutere delle azioni legali intraprese contro il loro ex datore di lavoro. Si tratta di ex addette alla vendita al dettaglio di un negozio di moda e di due bistrot zurighesi, tutti proprietà della stessa persona.
Il posto di lavoro come un incubo
In un primo momento fatico a ricostruire i fatti perché sono travolto dall’incrociarsi di voci e dal flusso di emozioni delle mie interlocutrici. A poco a poco riesco però a fare ordine e capisco di trovarmi in presenza di persone che hanno vissuto per mesi o per anni il posto di lavoro come un incubo. Le 6 lavoratrici, e come loro un’altra dozzina di colleghe, sono state licenziate questa estate e non hanno mai ricevuto l’ultimo salario. Alcune di loro hanno un credito aperto, dovuto a ferie arretrate o a ore di straordinario, che sfiora i 20.000 Franchi. La perdita del denaro sembra però essere secondaria per queste lavoratrici, quasi tutte migranti con permesso di dimora (permesso B), rispetto alle angherie subite dal loro principale.
Manipolazione
Tutte le donne lavoravano con la consapevolezza di essere sorvegliate tramite una videocamera a circuito chiuso. Secondo quanto dichiarato dalle 6 venditrici, il datore di lavoro era solito infatti rivedere parte dei filmati per «migliorare i processi di vendita e di gestione del personale». Una delle donne mi illustra chiaramente il clima in cui erano costrette a operare: «Faceva di tutto per metterci l’una contro l’altra, ci manipolava e cercava di sfruttare tutti i nostri punti deboli. Non da ultimo la nostra condizione migrante. Ancora adesso che ho un nuovo datore di lavoro vivo nella paura di fare qualcosa di sbagliato. A volte temo di essere sorvegliata da qualcuno. Per me i soldi che mi deve sono un problema minore rispetto ai danni psicologici che ho subito». Anche per una sua collega, che mai si era trovata in una situazione così in anni di lavoro, questa esperienza è stata «annientante».
La rabbia
Tra le più arrabbiate e sicuramente la più attiva a sollecitare una risposta collettiva contro il datore di lavoro, c’è Lucia, il cui vero nome è in realtà un altro. Lucia è una lavoratrice italiana, laureata e reduce da anni di precariato in ambito culturale, emigrata non da molto tempo, che non avrebbe mai pensato di trovarsi anche qui in una tale situazione lavorativa: «In Italia le condizioni di lavoro si sono deteriorate moltissimo negli anni. La precarietà e gli abusi la fanno da padrone. Una volta sono dovuta persino ricorrere alla giustizia. Non avrei mai pensato di trovarmi in una situazione simile anche a Zurigo, in una delle città più ricche al mondo. Siamo di fronte infatti a un datore di lavoro che sfrutta le carenze, le debolezze e le lentezze del sistema per defraudare noi lavoratrici. Questa persona non è nuova a ruberie nei confronti delle dipendenti». Lucia è stata iscritta per anni alla Cgil e, appena è arrivata in Svizzera, si è iscritta al sindacato Unia. Proprio grazie alla sua affiliazione al sindacato ha ottenuto l’assistenza giuridica gratuita completa e ascolto. Anche per lei, infatti, l’esperienza negativa l’ha segnata profondamente e non vede l’ora di lasciarsela alle spalle.
L’assistenza sindacale
A seguire l’affiliata c’è Andreia Teixeira, segretaria sindacale che lavora nel settore giuridico della regione Unia di Zurigo-Sciaffusa. È lei che ha assistito Lucia dal momento in cui si è rivolta al sindacato per ottenere i soldi che le spettano di diritti. La incontriamo insieme a Lucia il 13 marzo dal giudice di pace di Zurigo e ci racconta il processo che le ha portate lì: «In un primo momento abbiamo cercato di evitare il ricorso alla giustizia tramite lettere scritte di sollecito, successivamente abbiamo richiesto una procedura di esecuzione e oggi ci troviamo davanti al giudice di pace. Se non si troverà un accordo, la pratica passerà al Tribunale del lavoro e a quel punto il datore di lavoro sarà costretto, pena il pignoramento, a pagare la nostra assistita». Per Lucia il servizio ricevuto è molto importante: «Il nostro principale ha sempre giocato sulla nostra inesperienza rispetto al diritto del lavoro svizzero. Quando ho capito di trovarmi di fronte a un vero e proprio furto mi sono rivolta a Unia che mi ha offerto subito assistenza gratuita e mi ha dato ascolto. Un avvocato mi sarebbe costato più di 200 Franchi all’ora e non sarei mai riuscito a permettermelo».
Il servizio giuridico
Andreia Teixeira lavora dal 2013 per Unia e da cinque anni è nel servizio giuridico. Segue decine di casi contemporaneamente. Ha maturato una buona esperienza nel settore ed è quindi molto preparata. È lei che si occupa di tutti quei casi che non richiedono l’intervento degli avvocati del sindacato ed è lei a segnalare una dinamica preoccupante: «Rispetto a quando ho iniziato, ho notato che le aziende tendono sempre di più a proteggersi dal punto di vista giuridico. Anche per casi di piccola entità, chiamano subito un avvocato per cercare di ottenere il miglior risultato possibile in breve tempo. Sono diventate molto aggressive da questo punto di vista. Il nostro lavoro non è sempre facile ma è sempre più importante e utile».