Fondo industria, tempo di riparlarne
Di fronte all’attitudine passiva di Johann Schneider-Ammann, ministro dell’economia, Unia chiede con forza una vera politica industriale. E rievoca un’idea di qualche anno fa che torna attuale con le misure in favore dell’industria decise nei cantoni di Ginevra e di Vaud: il fondo per la produzione.
Casi clamorosi, come il taglio annunciato di 1300 posti di lavoro alla Alstom, fanno la prima pagina dei giornali, suscitano i commenti allarmati di politici ed esperti. Almeno altrettanto preoccupante è la lenta erosione del tessuto di piccole e medie imprese che costituiscono una colonna portante del settore industriale svizzero: una decina di licenziamenti di qua, un’altra dozzina di là, lontano dalla luce dei riflettori. Ogni posto di lavoro perso è anche un patrimonio di conoscenze scialacquato.
Politica industriale
Unia non si stanca di ricordare la responsabilità dei vertici della Banca nazionale, chiamati a garantire una moneta che vada a vantaggio dell’economia del paese, e di chiedere il ritorno a una fluttuazione controllata del tasso di cambio. Parallelamente il sindacato rivendica la necessità di una politica industriale degna di questo nome. Uno degli elementi di questa politica è la creazione, invocata da Unia già alcuni anni fa, di un fondo per la produzione. «Il fondo per la produzione è uno dei pilastri della politica industriale che abbiamo in mente», osserva Manuel Wyss, membro della direzione del settore industria di Unia. «L’idea, almeno a grandi linee, è semplice: si tratta di un fondo erogatore di crediti, alternativo alle banche, finanziato prioritariamente con gli averi delle casse pensioni e destinato a preservare posti di lavoro e a permettere la riconversione ecologica e digitale dell’industria svizzera».
Secondo mercato del credito
Il fondo dovrebbe permettere alle aziende innovative, che vogliono investire in tecnologie ecologiche e promettono di creare nuovi posto di lavoro, di accedere più facilmente a crediti con tassi di interesse favorevoli. «La Svizzera ha bisogno di un secondo mercato del credito, che ponga le basi per una politica industriale creativa», dice ancora Wyss. La supervisione del fondo sarebbe affidata a un organo paritario, in cui sarebbero rappresentati sindacati, datori di lavoro e Confederazione. «Si tratta di una formula che in Svizzera ha già dato buoni risultati, per esempio nella Suva», nota Wyss. La concessione di crediti, gestita da un comitato d’investimenti, andrebbe vincolata a criteri ecologici, economici e sociali. «L’obiettivo è combinare innovazione tecnologica e innovazione sociale», puntualizza Wyss. I criteri sociali potrebbero essere per esempio l’adesione dell’azienda a un contratto collettivo di lavoro e il rispetto della parità fra uomo e donna.
Fondi pensionistici sottratti alla speculazione
Un altro aspetto importante del progetto riguarda il ricorso agli averi delle casse pensioni per finanziare i crediti. «Invece di far confluire gli averi di vecchiaia in hedge fund e veicoli analoghi, che servono a finanziare l’acquisizione e lo smantellamento di aziende il fondo permette di canalizzarli verso investimenti produttivi», precisa Manuel Wyss.
Piazza industriale moderna
Se al momento della sua prima formulazione nel 2009 l’idea di un fondo di sostegno all’industria poteva apparire un corpo estraneo nel panorama tradizionale degli strumenti di politica industriale in Svizzera, nel frattempo le cose sono cambiate. Lo scorso anno fondi industriali, seppur con modalità e strumenti diversi da quelli previsti per il fondo per la produzione, sono stati creati nei cantoni di Vaud e Ginevra. «Il rischio di deindustrializzazione è ormai sotto gli occhi di tutti», rileva Manuel Wyss. «E con questo è cresciuta anche la consapevolezza di quello che l’economia svizzera deve al settore industriale. A lungo termine, il fondo offrirebbe la possibilità di avviare la riconversione del nostro paese da piazza finanziaria a piazza industriale moderna e partecipativa».