Quando ricordare non basta
Più di 50 anni fa Egidio Stigliano, ancora bambino, si trovava in campagna con la nonna a ridosso di una linea ferroviaria nel Meridione d’Italia. A un certo punto, al passaggio di un treno, la nonna invitò il piccolo Egidio a salutare in direzione del mezzo. Il piccolo Egidio non sapeva che su quell’Espresso c’erano sua madre e suo padre che stavano per lasciare l’Italia per andare in Svizzera a lavorare. Il pensiero della sofferenza dei genitori in quel frangente, in particolare della madre, lo tormenta ancora oggi.
Alla morte della nonna, avvenuta un paio di anni dopo, i genitori di Egidio sono stati costretti a portarlo illegalmente in Svizzera. Da quel momento per lui cominciò un altro dramma: dopo la lontananza forzata con i genitori, Egidio dovette vivere nascosto.
Per lunghi mesi fu costretto a trascorrere lunghe ore da solo in attesa del ritorno dei genitori dal lavoro. La paura di essere scoperto da qualche spione zelante nel vicinato era sempre in agguato. Egidio ci mostra il suo braccio visibilmente storto a causa di una frattura e di un’ingessatura artigianale: a lui, bambino clandestino, l’assistenza sanitaria era preclusa.
Anche la scuola e i giochi con gli amici erano un miraggio. A far lui compagnia c’erano le creature di un bosco in cui Egidio amava trascorrere molte ore della giornata. Proprio in quel bosco, Egidio fu scoperto da una suora, di mestiere insegnante, che lo segnalò alla polizia, ma allo stesso tempo si preoccupò affinché lui potesse avere gli stessi diritti di base di tutti gli altri bambini con passaporto o comunque «legali»: per lui cominciò così la sua avventura scolastica in Svizzera che l’ha portato oggi a essere un affermato psicologo.
Famiglie divise
La storia di Egidio è una delle tante che furono causate da una Legge, introdotta nel 1931 e abolita nel 2002, ovvero con l’entrata in vigore dell’Accordo di libera circolazione tra Unione europea e Svizzera: lo Statuto dello stagionale.
Notoriamente, lo Statuto impediva ai lavoratori ospiti, in Svizzera tedesca chiamati Gastarbeiter, di portare con sé la famiglia. In molti casi erano gli uomini che si recavano in Svizzera per lavorare e lasciavano moglie e figli a casa. Non era però raro il caso in cui marito e moglie erano costretti a partire senza la prole al seguito.
I figli rimanevano spesso con nonni o parenti, altre volte venivano lasciati in istituti posti a ridosso del confine. In altri casi, come successe a Egidio, furono portati in Svizzera senza aspettare il permesso delle autorità e furono costretti a vivere in clandestinità.
Egidio oggi è membro del Comitato promotore dell’Associazione Tesoro, fondata a Zurigo lo scorso 1° ottobre durante un incontro pubblico, che intende rappresentare gli interessi di tutte quelle persone migranti o di origine migrante che hanno subito in passato le restrizioni dello Statuto dello stagionale.
Insieme a lui c’è Paola De Martin, anch’essa di origine italiana, che nel 2018 scrisse una lettera aperta all’allora Presidente della Confederazione Simonetta Sommaruga in cui raccontava la sua esperienza di vittima dello Statuto dello stagionale e, allo stesso tempo, esprimeva tutta la sua rabbia e il suo dolore per i tentativi dell’Udc, nel 2014 e nel 2018, di ostacolare nuovamente i ricongiungimenti famigliari attraverso due iniziative populiste e xenofobe.
Anche Catia Porri fa parte dell’Associazione. Proprio lei fu tra le prime a rompere il muro del silenzio e a raccontare in prima persona e in numerose occasioni la sua personale esperienza di bambina nascosta. Il dramma dello Statuto dello stagionale non riguardò soltanto la comunità italiana: la scrittrice Melinda Nadj Abonji, anch’essa nel Comitato promotore, fu costretta a vivere per quattro lunghi anni lontana dai genitori, nella Vojvodina, provincia autonoma della Serbia.
Le rivendicazioni
Tutte le persone appena citate hanno saputo trasformare la sofferenza in energia politica, morale e creativa. Tutte hanno trovato il modo di realizzarsi umanamente e professionalmente. Le cicatrici sono rimaste, ma sono diventate forza.
Loro sanno però che in Svizzera ci sono ancora migliaia di persone che non ce l’hanno fatta, che sono state vinte dal trauma, dalla paura e dal rifiuto. È in parte lo stesso che è accaduto fino agli anni Ottanta con i Verdingkinder (bambini schiavi), minorenni provenienti da famiglie disagiate ed emarginate, mandati forzatamente a vivere e lavorare in famiglie contadine: molte di queste persone sono state segnate irrimediabilmente. Non è un caso che una delle vittime, Beat Eymann (Netzwerk Verdingt), è intervenuto più volte durante la serata.
Una delle richieste principali di Tesoro è il risarcimento delle vittime. Oltre al risarcimento, l’associazione chiede anche una rielaborazione storica del fenomeno delle famiglie divise: quante furono? Quali sono state le traiettorie esistenziali di chi ha vissuto la separazione? Quali le strategie per sopravvivere come famiglie? Quali sono gli effetti di questo trauma insieme collettivo e individuale? Queste sono alcune delle domande che attendono una risposta. Non basta ricordare, è necessario rielaborare un vissuto e soprattutto occorrono delle scuse: l’associazione Tesoro chiede alle autorità anche delle scuse formali.
Per la Presidente di Unia Vania Alleva, presente alla serata e intervenuta durante la discussione relativa alla formulazione dello statuto dell’associazione, «è importante che Tesoro guardi anche al presente. Ciò che è successo ieri con lo Statuto dello stagionale accade anche oggi con le famiglie di sans papier».