I risultati della Giornata di discussione di Olten dedicata ai rapporti tra nazionalismo, diritti e lavoro
La tradizionale Giornata di discussione di Olten ha coinvolto nel dibattito intorno all’accordo quadro tra Svizzera e Ue anche i rappresentanti del sindacalismo europeo. Tre i relatori invitati a parlare durante la mattinata: Sophie Bose, sociologa dell’università di Jena, Christian Fölzer, responsabile internazionale del sindacato austriaco dell’edilizia e del legno e, infine, Rudy De Leeuw, Presidente della Confederazione europea dei sindacati (Ces), a cui appartiene anche Unia. Nel pomeriggio hanno avuto luogo invece 4 workshop intorno ai seguenti temi: i rapporti tra xenofobia e lavoratori, la protezione salariale in Europa, gli accordi bilaterali e le risposte all’iniziativa contro la libera circolazione dell’Udc.
Apertura dei lavori
È stata Vania Alleva ad aprire il dibattito. La Presidente di Unia ha parlato innanzitutto di alcune delle lezioni che il movimento sindacale svizzero ha appreso dalla storia del secondo dopoguerra: i sindacati elvetici, per anni ripiegati su posizioni scioviniste e conservatrici, hanno preso atto da tempo che la politica dei contingenti della manodopera estera, lungi dall’aver protetto il lavoro, ha creato diseguaglianze inaccettabili e una concorrenza al ribasso tra salariati; hanno capito inoltre che un’organizzazione sindacale, per essere forte, deve proteggere anche i lavoratori stranieri e difenderli dalla discriminazione. Le dinamiche sociali ed economiche degli ultimi tre decenni, nonché le diverse votazioni succedutesi in materia di integrazione europea in Svizzera, hanno infine dimostrato che la libera circolazione e le misure d’accompagnamento non sono in contraddizioni, ma si rafforzano reciprocamente. Infine, Alleva ha cercato di portare i termini del dibattito attuale sul giusto binario. Come ha dimostrato la stessa Giornata, infatti, «non esiste alcun conflitto tra Svizzera ed Europa», come la maggior parte dei media nazionali vorrebbe far credere, ma «un conflitto tra visioni e gruppi sociali all’interno della Svizzera e in Europa».
Lavoro e populismo
Prima di passare la palla ai rappresentanti del sindacalismo europeo, la sociologa Sophie Bose ha presentato i risultati di una ricerca, che ha fatto luce sulle ragioni che spingono molti lavoratori a votare per partiti populisti di estrema destra in Germania. A partire da numeri e statistiche piuttosto allarmanti, che dimostrano un forte spostamento a destra del movimento dei lavoratori tedeschi, la studiosa ha condotto interviste molto approfondite con alcuni militanti sindacali che, all’interno del sindacato Ig Metall, in Sassonia, sostengono apertamente il partito Alternative für Deutschland (Afd) o il movimento islamofobo denominato Pegida. L’insicurezza sociale, la sensazione di non poter cambiare le cose, le diseguaglianze sociali, sono alla base di questo fenomeno che non coinvolge soltanto i lavoratori o gli iscritti al sindacato, ma addirittura i loro rappresentanti all’interno delle fabbriche. Ai sindacati, questa la posizione emersa tra i presenti al convegno, il compito di rimanere in contatto con questi soggetti, cercando di ristabilire in loro la fiducia nel potere delle collettività solidali.
Dumping in Austria
Christian Fölzer ha analizzato in profondità la situazione nel settore edile austriaco, dove sempre più spesso aziende straniere operano senza rispettare il principio secondo cui, in un dato luogo, a uguale lavoro dovrebbe corrispondere uno stesso salario. In particolare, l’esponente del sindacalismo europeo, ha analizzato la situazione di alcune ditte slovene che operano in un regime concorrenziale vantaggioso su suolo austriaco e creano una pressione sui salari locali. Inoltre, egli ha messo in luce le statistiche relative alle aziende straniere colte in fallo durante i controlli: nel 2018 quasi la metà delle aziende operanti su suolo austriaco con sede in un altro Stato, non erano in regola con i livelli salariali vigenti in Austria.
Solidarietà europea
In chiusura è stata la volta del Presidente della Ces, il belga Rudy De Leeuw, che nel suo intervento ha ribadito la solidarietà dei sindacati europei e ha invitato il fronte sindacale svizzero a tenere duro durante le future trattative per l’accordo quadro tra Svizzera e Unione europea. In particolare, De Leeuw ha riconosciuto che l’accordo quadro, allo stato attuale delle trattative, rischierebbe di affidare, in ultima istanza, le dispute giuridiche tra aziende estere operanti su territorio svizzero e sindacati, alla Corte di giustizia europea, un’istituzione che finora ha dimostrato di essere «più sensibile ai dettami del libero mercato, che non alle norme di protezione dei lavoratori». Questo metterebbe a serio rischio l’efficacia delle misure d’accompagnamento alla libera circolazione, sostanzialmente la serie di regole e controlli per evitare gli abusi, e quindi la protezione dei salari. La presa di posizione di De Leeuw, che rappresenta i sindacati di 39 paesi e 45 milioni di lavoratori, non potrà non essere ascoltata in sede europea e ben fa sperare per la buona riuscita dell’accordo e, soprattutto, per la costruzione di un’Europa davvero unita e sociale.