La disparità salariale non è una fake news
L’annuncio è di quelli scandalosi: per lo stesso identico lavoro l’azienda informatica Meyer Info proponeva 64.000 Chf alle donne e 80.000 Chf agli uomini. L’offerta di lavoro, pubblicata in numerosi portali, ha fatto il giro del web in poche ore attraverso i social media. Le reazioni di indignazione sono state veementi, finché qualcuno si è accorto del trabocchetto: l’annuncio era falso. A volerlo è stato il sindacato Unia per denunciare la disparità salariale tra uomo e donna e preparare il terreno per la grande manifestazione nazionale del 22 settembre a Berna.
Le reazioni piccate
Le cosiddette fake news non sono certo un’invenzione della modernità. Le nuove tecnologie, i social media in particolare, hanno contribuito a trasformare questo fenomeno in una delle piaghe della democrazia odierna. Le fake news, per alcuni commentatori, sarebbero addirittura all’origine dell’inarrestabile ascesa dei movimenti populisti occidentali. È normale allora che un’operazione come quella di Unia abbia suscitato critiche, non soltanto da parte di chi si oppone a una serie legge contro la discriminazione, ma anche tra alcuni di quei politici che sono vicini alle istanze delle lavoratrici e dei lavoratori. Per Virginie Pilault, portavoce di Unia, «non si è trattato di una fake news, ma soltanto di un mezzo per attirare l’attenzione su un tema scottante».
Una disparità invisibile
Non per essere machiavellici ma, in questo caso, è proprio il caso di dire che il fine giustifica i mezzi. Lo scopo di Unia, che ancor prima di essere scoperta aveva già pianificato di autodenunciarsi, era proprio quello di rendere palese una realtà che, purtroppo, la maggior parte delle volte emerge soltanto dalle fredde statistiche. La poca trasparenza salariale elvetica, infatti, non permette alle lavoratrici di raffrontare agevolmente i salari con i colleghi. Per questo, le reazioni indignate della destra liberale e di quella populista ricordano, sempre secondo Virginie Pilault, «lo stolto che guarda il dito e non la luna», laddove il dito è soltanto il mezzo per mostrare il vero scandalo di tutta questa vicenda: la persistente diseguaglianza tra uomini e donne, uno schiaffo in faccia alla Costituzione svizzera, disattesa da ben 37 anni.
Un primo passo
Il finto annuncio è stato il primo passo della campagna a ridosso della manifestazione nazionale del 22 settembre a Berna. Un appuntamento a cui prenderanno parte l’Uss, Travail suisse, numerose organizzazioni politiche e associazioni di diverso tipo. La campagna è infatti proseguita con un’azione dimostrativa, che ha avuto luogo di fronte al Palazzo federale nella mattinata di martedì 11 settembre. Una ventina di persone con barbe colorate e cartelli indicanti salari differenti per uomini e donne hanno distribuito dei volantini a tutti i parlamentari presenti sulla piazza. Il 24 settembre, il Consiglio nazionale esaminerà infatti la revisione della legge sull’uguaglianza, che purtroppo appare poco incisiva nei confronti della discriminazione salariale di genere: soltanto l’1% delle aziende sarà costretto ad applicare la parità di retribuzione.
Non solo parità
Per facilitare la partecipazione alla manifestazione di Berna, Unia e le altre organizzazioni hanno previsto treni speciali da tutte le regioni del paese (per informazioni: donne@unia.ch). Oltre alle rivendicazioni salariali, è importante ricordare che le rivendicazioni della manifestazione hanno a che fare anche con altri temi. Gli organizzatori infatti chiedono una maggiore rappresentanza femminile nelle posizioni di responsabilità, l’abolizione delle cosiddette tasse di genere (che colpiscono beni di consumo destinati a un pubblico femminile), il non innalzamento dell’età pensionabile femminile e, non da ultimo, la fine della violenza nei confronti delle donne, un tema che è tornato purtroppo di attualità nelle ultime settimane.