La partita più importante
È successo a un giovane militante sindacale, Sebastian Julen, che ha avuto la possibilità, alla fine dello scorso marzo, di recarsi in Qatar per assistere ai lavori della conferenza, organizzata dalla Federazione internazionale dei lavoratori edili e del legno (Bwi), dal titolo «I diritti dei lavoratori migranti e l’eredità della coppa del mondo 2022 della Fifa in Qatar».
Esperienza di vita
Ai margini della conferenza, Sebastian Julen, lavoratore del ramo alberghiero e calciatore del Raron, squadra vallesana dell’omonimo paese, ha disputato la Migrant Worker’s Cup con alcuni ex giocatori professionisti, oggi impegnati per un calcio più sociale e sostenibile nell’ambito dell’Associazione internazionale calciatori (Fifpro), e con molti lavoratori e molte lavoratrici migranti impegnati nell’edilizia e in altri settori in Qatar.
La vittoria del torneo è arrivata inaspettata per il giovane militante di Unia: «Non ci aspettavamo certo di vincere ed è stato bellissimo raggiungere questo risultato insieme ad altri lavoratori. I miei compagni di squadra hanno preso sul serio la sfida e questo ha permesso di battere la squadra composta da ex professionisti per 3 a 0 in semifinale. La vittoria in finale è arrivata invece ai rigori».
Sebastian Julen, come racconta, è rimasto impressionato dalla visita in Qatar: «Sono entrato in contatto con un paese dove il lusso e lo sfarzo regnano sovrani. Un paradosso se si pensa a ciò che hanno vissuto i lavoratori migranti in questo paese. Non sono mai stato un sostenitore dell’assegnazione dei mondiali al Qatar. Tuttavia, anche grazie all’impegno sindacale, sono state ottenute delle conquiste importanti che devono restare anche quando i riflettori sul Qatar saranno spenti».
Qualcosa è cambiato
Ciò che è successo in Qatar in questi anni è davvero una vergogna per il calcio mondiale. Sono molte le ricerche giornalistiche che hanno fatto luce sulle condizioni di schiavitù dei lavoratori, sulle morti bianche e sulla mancanza di trasparenza da parte delle autorità qatariote.
A partire da questa situazione è stato fatto però anche un lavoro sindacale che ha ottenuto risultati non indifferenti, quantomeno in alcuni contesti lavorativi. Rita Schiavi, che per Unia si è impegnata all’interno della Bwi, ne è convinta: «Le condizioni di lavoro in Qatar erano pessime ancor prima della costruzione degli stadi e delle infrastrutture per il mondiale. Questa manifestazione ha portato alla ribalta queste stesse condizioni e per questo è stato possibile operare delle pressioni e ottenere delle conquiste non indifferenti».
Negli ultimi anni, infatti, la Bwi ha ottenuto il permesso di ispezionare i cantieri degli stadi e altri luoghi di lavoro; questo ha portato delle migliorie in termini di sicurezza, condizioni igieniche e medicina del lavoro. Sono stati firmati degli accordi quadro con aziende importanti dell’edilizia come Basics, Vinci, Salini-Impregilo che hanno migliorato la vita dei lavoratori edili provenienti soprattutto da paesi quali Nepal, Bangladesh, Pakistan.
Inoltre, le autorità qatariote hanno finalmente definito dei salari minimi e abolito il contratto di lavoro “kafala”. Definito a ragione una forma moderna di schiavitù, questo tipo di contratto assoggettava i lavoratori stranieri all’azienda perché prevedeva la consegna del passaporto al datore di lavoro, il divieto di lasciare il paese o di cambiare azienda senza autorizzazione del datore di lavoro stesso e persino l’impossibilità di sporgere denuncia.
Non basta
Per l’Ibw queste conquiste non sono ancora sufficienti. Il tema della sopraccitata conferenza di Doha del 29 e 30 marzo 2022 era proprio incentrato sull’ulteriore miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori migranti del paese e sul loro mantenimento. La paura principale è che a fine mondiale tutto possa tornare a essere come prima.
Rita Schiavi ritiene che la Fifa debba impegnarsi seriamente per scongiurare questo pericolo: «Una delle questioni aperte è la rappresentanza dei lavoratori. Oggi è ancora vietato parlare di sindacati locali in Qatar. Tuttavia, grazie al lavoro della Bwi, sono state create delle communities di lavoratori sulla base dell’etnia che rappresentano una prima forma di rappresentanza. Alla Fifa chiediamo però di finanziare dei workers center che possano sostenere il lavoro di queste communities e quindi sostenere i lavoratori dal punto di vista organizzativo, in ambito legale e in quello della formazione».