«Rafforzare la cooperazione»
Presidente Vania Alleva, le trattative tra Svizzera e Unione Europea sono fallite. Quali sono le sue considerazioni?
I negoziati sono stati condotti male da parte del Consiglio federale. L’accordo voleva sacrificare le Misure d’accompagnamento (Ma) a tutela dei salari, strumenti importanti per tutti i lavoratori che operano in Svizzera indipendentemente dalla loro provenienza. Questo è grave anche perché i negoziatori non hanno rispettato il loro mandato che prevedeva di non mettere in discussione le Ma. Abbiamo dovuto difenderci da questo attacco ai salari. E allo stesso tempo abbiamo respinto l’attacco alla libera circolazione da parte dell’Udc con la sua iniziativa per la disdetta del 2020.
Cosa risponde a chi da sinistra critica la fermezza sindacale?
La critica è ingiustificata. Le forze neoliberiste della Svizzera e dell’UE volevano imporre il dogma della concorrenza e del libero mercato. La protezione dei salari è centrale per i lavoratori e l’abbiamo difesa. Non abbiamo messo in discussione né la libera circolazione come diritto dei lavoratori né la nostra relazione con l’Ue. Abbiamo avuto una posizione ferma su una questione sociale. Anche la Confederazione sindacale europea (Ces) ha sostenuto la nostra posizione.
Alcuni settori della società, tra cui la ricerca, sono preoccupati per la rottura delle trattative. Si tratta di ansie infondate?
Comprensibile che ci siano delle preoccupazioni. Il Consiglio federale e il Parlamento sono chiamati a dare forti segnali di cooperazione per ricucire i rapporti. Nel campo della ricerca e non solo. Gli accordi bilaterali sono validi e bisogna rafforzarli.
Non c’erano davvero spazi per negoziare un accordo sociale, ovvero senza peggioramento delle Ma?
Difficile dirlo, non eravamo noi al tavolo delle trattative. Noi abbiamo posto un veto all’attacco alle protezioni salariali. Il Consigliere Cassis, attraverso Balzaretti, ha cercato di dividere e mettere fuori gioco le forze progressiste mettendo le Ma sul tavolo, malgrado non rientrassero nel mandato negoziale.
La direttiva sulla cittadinanza europea, uno dei punti del negoziato, avrebbe sicuramente comportato un progresso per molti cittadini provenienti dall’Ue. Cosa ne pensa?
Noi non ci siamo mai opposti a un’introduzione della direttiva nell’accordo quadro. Ci siamo sempre battuti con determinazione a favore della libera circolazione delle persone associata a diritti forti. Vogliamo che la Svizzera li rafforzi entrambi. Per questo è importante che il Consiglio federale riprenda i punti centrali della direttiva per migliorare la sicurezza del soggiorno e la sicurezza sociale. In particolare, in materia di disoccupazione. Nessuno deve essere punito per aver percepito prestazioni sociali a cui ha diritto.
Al congresso Unia è stata votata una risoluzione per un’Europa sociale. Quali sono i punti principali di tale risoluzione?
Oltre a riprendere alcuni punti della direttiva sulla cittadinanza europea, chiediamo a Consiglio federale e Parlamento di dare altri segnali forti di avvicinamento all’Europa in diversi ambiti e in favore di una cooperazione sociale. Le proposte: recepire alcune direttive del pilastro europeo in materia di diritti sociali, che apporterebbero miglioramenti delle condizioni di lavoro in molti ambiti, mettere fine al dumping fiscale da parte della Svizzera, fissando di concerto con l’Europa una tassazione minima per le imprese e, infine, migliorare la cooperazione a livello pratico attraverso l’adesione della Svizzera all’Autorità europea del lavoro.
Come può contribuire il movimento sindacale a riavvicinare Svizzera ed Europa?
Noi collaboriamo con i sindacati in Europa e con la Ces. Questa collaborazione va rafforzata anche perché i temi per i quali ci battiamo sono sempre meno legati ai confini nazionali: il lavoro transfrontaliero, il digitale, il clima. Abbiamo molti interessi in comune e dobbiamo difenderli assieme.