Il rischio di ripiegarsi sulla nazione
«Noi sindacalisti abbiamo ora il dovere di spingere in particolare verso un riorientamento della politica europea per affrontare la crisi, affinché la crescita e l’occupazione tornino ad essere prioritarie». Così si esprimeva Renzo Ambrosetti nel 2012, al congresso di fondazione di IndustriAll. A quattro anni di distanza e al momento di lasciare la vicepresidenza, è il tempo di fare qualche bilancio e di gettare uno sguardo sulle sfide future della federazione sindacale europea.
Renzo Ambrosetti, nel 2012 IndustriAll aspirava a cambiare la politica europea. Cosa ne è di quell’aspirazione?
Per fortuna ci siamo uniti. Quando ancora c’era José Barroso alla testa della Commissione europea [fino al 2014, NdR], le questioni sociali non erano quasi prese in considerazione. Ora con Jean-Claude Juncker qualche apertura c’è stata. Le nostre posizioni e i nostri interventi trovano maggiore ascolto. La situazione politica europea non è però cambiata radicalmente, anche perché il vero problema dell’Europa è che ha una crescita pari a zero. Il Manifesto per l’industria in Europa, che abbiamo lanciato due anni fa, è stato bene accolto, ma è rimasto sostanzialmente lettera morta.
Sei attivo nei sindacati a livello europeo da una ventina d’anni. Hai percepito un cambiamento nell’atteggiamento sindacale verso l’Europa?
Sì, sono stato membro dell’esecutivo e dal 2007 presidente della FEM, la federazione dei metalmeccanici confluita in IndustriAll. All’inizio si riponevano molte speranze nella costruzione di un’Europa sociale. Fra i sindacati c’era molta solidarietà, c’erano molti progetti comuni. Ora l’aspetto sociale dell’Europa è passato in secondo piano e questo si ripercuote anche sulle organizzazioni sindacali, che tendono a ritirarsi in una dimensione nazionale. È un peccato ed è anche un rischio, perché proprio nella situazione di crisi in cui viviamo è importante la presenza di una forte organizzazione sindacale europea.
Che effetto ha avuto la creazione di IndustriAll sui sindacati nazionali?
Uno degli effetti positivi della fusione a livello europeo è di aver indotto diverse organizzazioni nazionali a fare lo stesso passo. Fra i maggiori problemi del movimento sindacale c’è la forte frammentazione, per esempio in Italia, in Francia e nell’Europa dell’est. Basti pensare che oggi IndustriAll è composta di 180 sindacati diversi. La creazione di IndustriAll è servita da modello, ha fornito lo stimolo alle organizzazioni sindacali per riflettere sull’opportunità di fare delle fusioni. Del resto se sono stato scelto alla presidenza della FEM prima e poi alla vicepresidenza di IndustriAll è anche perché avevo alle spalle l’esperienza della fusione che ha condotto alla nascita di Unia.
Fra i motivi per creare una struttura come quella di IndustriAll c’è quello di creare una sorta di contropotere nei confronti delle grandi aziende multinazionali. In che misura la federazione riesce ad assumere questo ruolo?
Ci riesce attraverso i comitati aziendali europei. A quel livello è possibile una coordinazione strategica tra i comitati aziendali nazionali nelle varie multinazionali presenti in diversi paesi. In passato i sindacati svizzeri hanno talvolta ottenuto, grazie a questi canali europei, informazioni che il management svizzero non voleva fornire. Lo scorso anno per esempio nell’ambito del piano di ristrutturazione della Caterpillar in Europa, i sindacati svizzeri hanno potuto trarre vantaggio dai contatti stabiliti attraverso il comitato aziendale europeo.
Quali sono le principali sfide nei quattro anni di vita di IndustriAll?
Gli obiettivi che ci eravamo dati quattro anni fa rimangono centrali: creare e garantire posti di lavoro di alta qualità nell’industria, migliorare i salari e le condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori attraverso una politica dei salari attiva e una più estesa applicazione dei contratti collettivi, fare da contrappeso al potere delle multinazionali. Per raggiungere questi obiettivi è però chiaro che occorre lavorare sulla rappresentatività dei sindacati a livello nazionale. In questi quattro anni globalmente abbiamo perso molti iscritti. Certo, ci sono anche esempi di sindacati in crescita, per esempio l’IG Metall in Germania, i sindacati austriaci, Unia, ovviamente su una scala più piccola. Però in paesi importanti come l’Italia, a Spagna e la Francia e nell’Europa dell’est i sindacati perdono terreno. Inoltre dobbiamo riuscire, insieme alle forze politiche e padronali europee, a rilanciare il settore industriale, a far sì che in Europa permanga un alto tasso di creazione di ricchezza attraverso l’industria.